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Maria Magatti: “Seven fondamentale per dare le basi del rugby. Difficile conciliare lavoro e sport”

Maria Magatti, esperta trequarti dell’Italrugby femminile e del Cus Milano, racconta in un’intervista esclusiva a OA Sport come sta vivendo questo periodo di stop dello sport a causa dell’emergenza sanitaria. Parlando dell’importanza del rugby a sette per il movimento femminile e la difficoltà di unire lavoro e sport per le atlete in Italia.

Maria, prima domanda ormai scontata in questo periodo. Come sono andati questi mesi di quarantena, cosa hai fatto? Sei riuscita ad allenarti?

“Tosti… nel senso che è stato un po’ strano e mi ha fatto rendere conto di quanto fossero presenti il rugby e gli allenamenti nella mia vita. Però è stato utile, ho dato l’ultimo esame dell’Università. Ho cercato di allenarmi a corpo libero a casa, ma comunque sono ingrassata (ride). Per fortuna sono tornata a casa dai miei, con i miei fratelli, così almeno ero in famiglia, ci siamo divertiti assieme. Come detto, ti rendi conto di quanto fosse importante il rugby nella tua vita”.

Il rugby è sicuramente la tua passione principale. Ma nella vita, oltre al rugby cosa fai?

“Mi laureo in scienze pedagogiche. In realtà ho fatto anche il triennale in scienze motorie e il mio obiettivo è unire aspetto sportivo ed educativo. Quest’anno do ancora la priorità al rugby, con le qualificazioni mondiali e i Mondiali 2021 e continuerò a fare preparazione atletica all’U16 del Cus e collaborerò con una nuova società sportiva a Monza, dove mi occuperò del settore rugby. Poi vediamo, sono un po’ alla ricerca. Dall’anno prossimo, poi, penserò più al futuro stabile”.

Tu hai anche una ricca esperienza nell’Italseven, ma soprattutto ti sei avvicinata alla palla ovale grazie al rugby 7 portato nelle scuole, per la precisione nel tuo liceo a Como. Quanto è importante il rugby a sette sia da un punto di vista di crescita tecnica, sia come arma per avvicinare ragazzi e ragazze a questo sport?

“In questo momento il Seven in Italia è fondamentale. Soprattutto a livello femminile, le squadre appena nate è importante facciano un po’ di esperienza a seven, perché è difficile creare una realtà con 30/35 ragazze dal nulla. Poi per conoscere le skills, le dinamiche del gioco, per poi arrivare a costruire una squadra a XV, che poi diventa l’obiettivo finale. A mio avviso il rugby 7s è fondamentale, ho giocato 2 anni in Coppa Italia per poi passare in Serie A con consapevolezza e basi motorie e rugbistiche”.

Como, Monza, Milano, tu hai girato un po’ tutta la Lombardia inseguendo l’ovale. Come stai vivendo l’esperienza al Cus, una squadra giovane ma che sta puntando molto sul rugby femminile?

“È giovane da tutti i punti di vista, anche le ragazze (è la più esperta, ndr). Il Cus è una società solida, quindi possiamo fare un buon lavoro, siamo abbastanza seguite, sicuramente il fatto di aver acquisito ragazze con qualche esperienza (lei, Arpano, Cavina, ndr) ha aiutato. Poi anche Laura Paganini aveva già giocato con i tutoraggi col Monza e questo è stato fondamentale per far crescere velocemente una squadra che secondo me ha un grande potenziale. L’anno scorso abbiamo avuto comunque risultati importanti per una società alla prima esperienza, cosa non comune in Italia. Il merito va alla società, agli allenatori, anche se c’è sempre bisogno di tanti numeri, tanta competizione all’interno della squadra per poter crescere e questo non è facile a livello femminile”.

Tu giochi ala, sei veloce, ma hai anche un fisico dirompente che ti permette sia di difendere sia di rompere i placcaggi. Quanto ti ha affascinato il contatto fisico del rugby quando l’hai scoperto?

“Ah beh, tantissimo! Sicuramente è la prima cosa che mi ha colpito. Venendo principalmente dal basket dove finivo spesso per uscire per 5 falli, arrivando nel mondo del rugby è stata un’illuminazione poter andare addosso agli avversari. Mi piace molto l’aspetto fisico, prepararmi in palestra, mi piace allenarmi a livello fisico anche da sola, in palestra. Non mi sento particolarmente dotata a livello tecnico, probabilmente anche perché ho iniziato a 15/16 anni, mentre chi ha iniziato da bambina ha qualità superiori, ci lavoro, ma non sono sicuramente la mia arma migliore. Compenso così le lacune tecniche”.

Con oltre 30 caps in azzurro e 50 punti marcati, sei tra le atlete più esperte della nazionale, dove hai esordito nel 2014. Come è cambiato il rugby italiano femminile in questi anni?

“Sicuramente il livello internazionale è cresciuto e di conseguenza è cresciuta la nazionale. Avere la possibilità di disputare test match, Sei Nazioni e Mondiali ti fa crescere, perché ti scontri con realtà forti, di alto livello. Giocare vincendo o perdendo di 60/70 punti non aiutava, ora il nuovo campionato suddiviso qualitativamente ha aiutato a crescere proprio per questo. Poi serve continuità, dobbiamo giocare insieme il più possibile (vedi Mondiali 2017), dare continuità alle dinamiche della nazionale. Anche le ragazze andate all’estero hanno aiutato, anche se io non la reputo da un punto di vista rugbistico fondamentale, più umano. Ma ha aiutato a cambiare mentalità alle ragazze, a vedere i nuovi metodi di allenamento. E’ oggettivo che a livello di gioco espresso il livello del rugby femminile è cresciuto ed è evidente. Aumentano il numero di ragazze, aumenta l’esperienza di chi gioca già da anni, quindi cresciamo noi e cresce il movimento. Anche da fuori c’è un maggiore interesse, nelle partite della nazionale in casa trovo sempre un grande calore, un pubblico appassionato. In alcune città, come L’Aquila o Padova, si sente particolarmente questa partecipazione, ma sicuramente c’è un cambiamento positivo. Abbiamo registrato anche record di pubblico all’estero, qualcosa si sta muovendo, magari anche grazie ai social, dove aumentano anche i nostri follower in occasione del Sei Nazioni. Poi il fatto di vincere aiuta”.

L’Italdonne sta sicuramente raccogliendo molto e dando grandi soddisfazioni al movimento. Un movimento che, però, non ha sempre sostenuto al 100% il rugby femminile. Cosa serve in Italia per fare il salto di qualità definitivo e giocarsela con tutte?

“È una domanda abbastanza complessa. La difficoltà maggiore è conciliare la vita privata con la nazionale per chi lavora. È difficile conciliare le ferie per chi lavora, ma anche le ragazze che studiano non sempre sono facilitate. Sicuramente un aiuto da questo punto di vista sicuramente servirebbe, pensando a chi si prende un’aspettativa per il Sei Nazioni, o deve saltare un allenamento perché ha un doppio turno. Come ti ho detto, quest’anno do ancora priorità al rugby, perché iniziassi subito a lavorare sarebbe dura spiegare che non ci sono per mesi. Poi, tutto quello che facciamo lo facciamo volentieri, tra sacrifici e impegno e questo è un po’ la nostra forza. Siamo super-motivate proprio perché sappiamo che stiamo facendo un sacrificio da un’altra parte. Non è un lavoro, ma una passione”.

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Foto: Ettore Griffoni – LPS

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