C'è una parola che è alla base di qualsivoglia relazione: "fiducia". Fateci caso, che si tratti di un'amicizia, amore, di una promessa elettorale o del semplice acquisto di un prodotto, la nostra capacità di confidare in quella persona o cosa è ciò che determina il successo o l'insuccesso del legame stesso. Ancora di più quando siamo portati fori dalla zona di comfort, come accade in montagna, dove l'esercizio dell'aver fede nel nostro compagno di cordata o nella nostra attrezzatura è il confine che si pone tra l'incedere sicuri e la diffidenza. Lo sa bene Gabriel Tschurtschenthaler, alpinista altoatesino ipovedente che continua a conquistare vette in tutto il mondo affidandosi ai suoi compagni di cordata Vittorio e Matthias, diventati ormai come una famiglia, ma al contempo, alle sue sensazioni più profonde. Affetto sin da piccolo da un grave disturbo visivo, con il passare degli anni la sua condizione è andata peggiorando. Nonostante ciò, la montagna è rimasta per lui una grande passione, un luogo dove ha imparato, con il tempo, ad aprirsi e affidandosi alle sensazioni del proprio corpo, dei suoi sensi, della sua pelle, delle piante dei piedi e del suo senso dell’equilibrio. Lo abbiamo conosciuto a Solda, in Alto Adige, in occasione della presentazione alla stampa europea della collezione Ortles di Salewa, perché proprio lui è il protagonista della campagna del brand altoatesino.

Gabriel Tschurtschenthaler in cordata con Vittorio e Matthias
Gabriel Tschurtschenthaler in cordata con Vittorio e Matthias

E con lui siamo saliti sul ghiacciaio, proprio quell'Ortles che dà il nome a una collezione che promette di rispondere alle esigenze di qualità, funzionalità e sicurezza dell’alpinismo di più alto livello, con capi d’abbigliamento per l’alpine mountaineering da uomo e da donna che possono essere usati tutto l’anno. Prima di metterci in cammino, la collezione ci è stata presentata in super anteprima da Thomas Moe, Product Director of Salewa, che ci ha raccontato come l'ispirazione per ridisegnare da capo una linea, che era già presente nella collezione del brand, sia nata da un corso di cucina. «Sono nato in Norvegia, poi ho lavorato e vissuto in diversi paesi d'Europa fino ad approdare in Italia. Ero a Sorrento e, curioso di conoscere meglio la cultura italiana, mi sono iscritto a un corso di cucina. Lì ho imparato l'espressione Q.B., quanto basta riferito a quel condimento indispensabile per rendere unica una pietanza, ma che non si deve superare perché resti delicata e autentica. Ecco, così doveva essere la linea che ti accompagna nelle esperienze di alpinismo estremo: essenziale! Senza niente di più né di meno di ciò che occorre».

La salita

Così, da Solda, dopo aver indossato alcuni capi della nuova collezione Ortles, siamo partiti per raggiungere i 3.905 metri della vetta più alta del Trentino-Alto Adige. Una partenza frizzante, di buona lena, in un ritmo che ha tolto velocemente il fiato sia per la bellezza del panorama, sia per la salita ripida. Un incedere verso l'alto che ha reso, pian piano, il passo più lento e il respiro più affannoso, sempre nella cornice di una giornata settembrina dal cielo azzurro. A farci compagnia, una natura sempre diversa, che è passata da fitto bosco a roccia nuda nel giro di poche ore. Sembrava impossibile ipotizzare che il giorno seguente ci avrebbe fatto compagnia la neve. Ma è proprio questo lo spirito e la sfida della montagna: farsi trovare pronti a ciò per cui non si è preparati.

Una breve pausa a metà strada, dove arriva il momento più difficile: capire se salire sul ghiacciaio o restare ai suoi piedi, il tutto in meno di un attimo. Bisogna deciderlo subito, perché il giorno dopo l'ascesa sarebbe stata difficile, viste le previsioni e ha detta delle Guide che erano con noi. E allora il gruppo, di buona lena, ha messo in moto gambe e spirito, raggiungendo il rifugio Payer che ci ha accolti come un nido di aquile arroccato su uno sperone di roccia, bellissimo e imponente fin dal primo sguardo. Imbrago, luce frontale, ramponi, corda e via, dietro alle Guide Alpine per affrontare il ghiaccio secolare che, purtroppo, sta chiedendo sempre più aiuto. L'avanzare è scorrevole, il ghiaccio tiene e crepaci sono sono stati domani. In due ore i più temerari sono in cima, giusto in tempo per veder tramontare il sole, in uno spettacolo dedicato solo a chi sa osare. E poi la discesa, in punta di piccone e scalette prima di tornare, sotto un cielo carico di stelle e con diversi gradi in meno, al punto di partenza della salita su ghiaccio. Ad attendere i temerari zuppa calda e la fame di racconti di chi è rimasto al rifugio.

Il giorno dopo

Una notte in alta quota non è semplice da trascorrere. Il freddo, le atmosfere che danno sempre un senso di vertigine, anche quando chiudi gli occhi nel buio totale dell'esterno. E ancora il ricordo di una giornata adrenalinica che viene a bussare alle palpebre a cadenze costanti, ora dopo ora. Svegliarsi la mattina e ritrovarsi circondati da un mare di nuvole “basse” per noi che ci stiamo sopra, ha rappresentato un qualcosa di incredibile. Così è successo il giorno seguente di questa spedizione trentina, mostrando uno scenario completamente diverso da quello che avevamo lasciato la sera precedente, coricandoci. La discesa, poi, è trascorsa in un incessante alternarsi di pioggerella e neve, affrontata con il buonumore di chi ritorna da una conquista soddisfacente e personale. In montagna la fiducia è essenziale, e questo scatto verso l'alto, fatto su una scelta ponderata nel tempo di un respiro, ne è la prova. Se non ti fidi di ciò che indossi, non hai la lucidità di affrontare quello che ti sta di fronte. Questo ci ha insegnato la salita al ghiacciaio che campeggia sulle Dolomiti e che quelli di Salewa chiamano “casa”.  Poter fare affidamento sulle proprie capacità, sull’attrezzatura e sui compagni di escursione è l’unico modo per dare il meglio di sé e superare i propri limiti. 

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