Chi non vive l’alpinismo difficilmente può comprendere le motivazioni che spingono un uomo a salire fino in cima, a qualunque costo, sfidando la fatica, l’ipossia, il freddo, il vento gelido e il sole che perfora la vista. C’è chi lo fa per spostare più in là i suoi limiti. C’è chi lo fa invece per il godimento puro e semplice della natura incontaminata. Chi cerca di aprire nuove vie, come un Marco Polo che sale verso il cielo. E chi, semplicemente, non può farne a meno. Anche se è pericoloso. La morte è una possibilità concreta. La storia dell’alpinismo ad alti livelli è piena di tragedie e perdite e chi frequenta l'alta montagna lo sa benissimo, ma esorcizza l'eventualità della catastrofe con motivazioni che a una persona normale non paiono plausibili. Soprattutto nei casi in cui le scalate si trasformano in emergenze o in tragedie e aumenta il numero delle persone che si chiede a gran voce cosa mai sono andati a cercare o chi glielo ha fatto fare. 

Se volete capire perché  ci si spinge ad andare lassù sfidando la morte la cosa migliore è farselo raccontare dagli stessi protagonisti. Forse non vi verrà voglia di iniziare a fare alpinismo, ma almeno avrete aggiunto un tassello in più nella scoperta delle motivazioni che muovono questi uomini. Che poi sono le stesse che muovono la civiltà e la scienza: sfidare i limiti, andare oltre quello che è stato già fatto.

Perché Lassù (Mondadori)


Il più grande enigma dell’alpinismo spiegato dai suoi protagonisti in questo libro - curato dallo scrittore e alpinista Serafino Ripamonti - che raccoglie i pensieri e le emozioni di chi ha speso gran parte della propria vita a conquistare sommità altissime, schivare valanghe e piantare ramponi nella schiena della montagna, mangiando cibo liofilizzato e bevendo neve riscaldata. Grandi alpinisti come Marco Confortola, che racconta la grande tragedia del K2 del 2008 quando perse le dita dei piedi, Urubko, Cala Cimenti, Walter Bonatti, Federica Mingolla, il recordman Nico Valsesia e altri. Denis Urubko lo definisce «Uno sport spietato, una lotta fra la vita e la morte» . Ed è la morte che ritorna spesso in “Perché lassù”. Perdere degli amici è frequentissimo nel mondo dell'alpinismo e conviverci diventa normale. “Fa parte del gioco” dicono in molti. «Il motivo per cui continuo a tornare lassù, è godere della natura e degli elementi. Esplorare, sempre, fuori e dentro di me. E cercare di fare tesoro di tutte quelle esperienze», scrive il compianto Cala Cimenti recentemente scomparso sotto una valanga. E alla fine, dopo diverse ragioni e motivazioni, viene fuori che forse non c’è una vera ragione nel sacrificio, spesso mortale, di questi esploratori del cielo, se non quella totalmente irrazionale della necessità dell'assecondare una passione folgorante. 

I sogni non sono in discesa (Rizzoli)

L'alpinista italiano riflette sulla vertigine scatenata da una passione assoluta, divorante. Quella passione che è la forza propulsiva indispensabile per realizzare grandi imprese, per andare oltre. Dopo diversi libri dedicati a singoli momenti ed esperienze – dalla tragedia dell’Annapurna alla storica conquista del Nanga Parbat in inverno -, Simone Moro, superato il crinale dei 50 anni, sente con questo libro l’esigenza di ripercorrere il cammino di alpinista per coglierne l’evoluzione e soprattutto il senso profondo. In questo libro importante, scritto come un romanzo di avventura, l'autore sceglie una serie di imprese emblematiche che seguono il filo della sua biografia cercando di cogliere la graduale crescita verso una maggior consapevolezza. Perché, come lui stesso ama ripetere, parafrasando Riccardo Cassin, «Il miglior alpinista è colui che invecchia». 

Malato di montagna (Corbaccio)

Hans Kammerlander - tra i più forti alpinisti italiani degli anni 80 e 90 - ha cominciato a scrivere questo ormai classico della letteratura alpinistica al campo base del Kangchenjunga, il primo dei tre ottomila che voleva scalare nella primavera del 1998, e lo ha continuato in ospedale dopo aver dovuto interrompere la sua «Trilogia» himalayana dal momento che, durante la sua discesa dalla montagna, gli si erano congelate le dita dei piedi. Ci racconta in modo coinvolgente la sua vita tra roccia e ghiacci, le sue avventure nella zona della morte, e la sua passione per la montagna che lo ha condotto, fin da giovanissimo, sulle più impervie pareti e sulle cime più alte del mondo, anche in compagnia di Messner, scalando con lui i suoi primi sette Ottomila. Avvincente, commovente e profondamente emozionante, il ritratto delineato dal giovane Kammerlander di se stesso è quello di un uomo «estremo» ma non per questo meno umano. 

Nel vuoto solo in parete (Fabbri editore)

L'uomo che è diventato famoso dopo aver scalato El Captain in free solo, senza l'ausilio di corde. è Alex “No Big Deal” Honnold. Con questo libro ci fa entrare un po’ all’interno della sua testa e ci fa scoprire che quella che troppi scambiano per follia e disprezzo della morte è in verità meticolosa preparazione e calcolo metodico. Se avete visto l'Oscar Free Solo del National Geographic lo saprete. Alex segue, durante l'impresa su El Captain, una sequenza, prima scritta su un taccuino, e poi ripetuta mille volte, per impararla a memoria. In questo libro, scritto e curato dal giornalista David Roberts, Alex racconta i suoi 7 successi più incredibili conseguiti prima della sua impresa più famosa nello Yosemite del 2017, da Alsthom sempre nello Yosemite allo spaventoso el Sendero Luminoso in Messico. Storie che fanno sudare le mani e tremare le ginocchia per le vertigini, ma che raccontano il lato più umano di un extraterrestre. 

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