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Daniele Nardi, la via perfetta che cercano tutti

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«Se non dovessi tornare dalla spedizione 2018-19, desidero che Alessandra Carati continui a scrivere il nostro libro perché voglio che il mondo conosca la mia vicenda di vita». Daniele Nardi non è tornato da quella spedizione sul Nanga Parbat, in Pakistan, e Alessandra Carati ha scritto il libro che racconta la sua storia: La via perfetta, edito da Einaudi.

Leggerlo significa conoscere la vicenda umana di una persona nata dove la montagna, quella alpina, ancora prima degli Ottomila, è cosa lontanissima. A Sezze, provincia di Latina, al massimo punta al mare e l’alpinista che viene da sotto il Po non è preso sul serio anche se ha scalato Everest e K2. «La geografia è un destino. Noi che veniamo dal Centro Italia non siamo credibili per il mondo dell’alpinismo professionale» scrive Daniele Nardi. «Nasco alpinisticamente da solo. Una tara e una benedizione»

È solo una delle tante affermazioni di realtà, nuda e cruda, che vengono raccontate nella narrazione della vita di un uomo che ha raggiunto 5 Ottomila. Non è un racconto tecnico, anche se ci sono spiegazioni di come si prepara una spedizione, di cosa ti può succedere in montagna dove il pensiero del pericolo e della morte ti accompagna sempre, delle piccolezze e delle diatribe fra gli alpinisti (contano gli sponsor e i media, non il modo dell’impresa «Finiamo per essere al tempo stesso grandi uomini e grandi miserabili»), terrene anche se si svolgono sul tetto del mondo.

È un libro filosofico. «Un alpinista è un esploratore, non resiste a una via di cui si è innamorato, non può sottrarsi al desiderio di tentarla. Perché la visione iniziale è diventata un’idea, e l’idea un progetto a cui pensa tutti i giorni e a cui dedica le sue energie migliori. Un’ossessione dolce e grandiosa. È impossibile abbandonarla prima di averla compiuta».

Ci si chiede, leggendo, perché mai una persona debba sottoporsi a tutto quello che comporta un’ascesa, invernale, oltre gli Ottomila metri: edema cerebrale, mancanza di ossigeno, congelamento, il rischio perenne della morte, amici morti su quella montagna accanto a te. Si capisce solo pian piano che la vittoria non è la vetta (soprattutto quando ci si pesta i piedi fra spedizioni), ma la via, quella via perfetta che per Daniele Nardi era lo sperone Mummery, via inviolata per la vetta del Nanga Parbat.

Qui la storia diventa comune a tutti e umana. Tutti cercano la via perfetta, magari non sulle vette del mondo, ma nella vita quotidiana, nella propria attività, nel lavoro, nella famiglia. La frase giusta per lo scrittore, le parole perfette nell’omelia, il calcolo esatto dell’ingegnere, il cavo giusto per l’elettricista. Tutti cercano il modo migliore per compiere un’impresa e per tutti il bello è il viaggio come per gli esploratori.

L’esploratore Daniele Nardi, nato a Sezze nel 1976 e morto in Pakistan alla fine di febbraio del 2019, non ha mai smesso di cercare la sua via perfetta. Alessandra Carati lo racconta nei 5 tentativi che sono il percorso del libro, libro che termina con la ricostruzione di quanto potrebbe essere successo nell’ascesa finale in cui Nardi e il suo compagno Tom Ballard hanno perso la vita.

È un finale necessario per togliere le polemiche e per spiegare che non è sfida alla vita, è vita e basta e comprende anche la morte. «Almeno una volta nella vita, a tutti dovrebbe capitare di incontrare un Daniele Nardi che con un sorriso ti spinge ad andare a vedere cosa c’è oltre la linea dell’orizzonte, e a camminare insieme a lui sul ghiacciaio».

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