Schedine, bandiere e cuori in gioco: la poesia di un calcio senza tempo
di Vincenzo Letizia
Guardando quella schedina ingiallita dell’11 novembre 1979, non si vede solo una serie di 1, X e 2. Si intravede un’epoca in cui il calcio era poesia quotidiana, un rito collettivo che univa intere città davanti a un televisore in bianco e nero o su un piccolo tavolo di cucina, con la matita tremante e il cuore in gola.
Ricordo con tenerezza mio nonno, che mi chiedeva di scrivere la schedina per lui e poi ne faceva fare una anche a me. Nel mentre, tra un 1 e un X, mi raccontava di Levratto, di Combi, di Rosetta e di Caligaris, trasformando quei nomi in eroi immortali e quel gesto semplice in un rito d’amore e memoria familiare.
Non c’era VAR a fermare l’attimo, né riprese infinite a smontare l’istante di gloria di un attaccante. Le partite iniziavano e finivano senza pause, e ogni errore dell’arbitro era un dettaglio da raccontare tra amici, un piccolo dramma umano che aggiungeva pathos alle domeniche di campionato.
Allora le bandiere avevano un peso reale: appartenenza, orgoglio, e la promessa silenziosa che, in qualunque angolo dello stadio, c’era qualcuno che tifava come te, che soffriva come te, che urlava con te. Lo spezzatino televisivo era ancora un concetto lontano: una partita era un evento, e la domenica aveva il suo ritmo sacro, scandito dal fischio d’inizio e dal caffè della sera.
Quella schedina è un piccolo oggetto del desiderio, un frammento di storia che racconta la semplicità e la magia di un calcio che oggi, forse, conosciamo solo attraverso le storie dei nostri genitori, le foto sbiadite, le emozioni di chi c’era davvero. È il ricordo di un tempo in cui vincere o perdere era un gioco, un’emozione pura, senza algoritmi o statistiche ossessive, dove contava solo il cuore.
Rivisitando quei numeri, quegli spazi vuoti e quegli incroci di matita, ci accorgiamo che il calcio romantico non è morto: vive ancora nelle nostre memorie, negli applausi fragorosi di uno stadio pieno, nelle bandiere che sventolano, nel brivido di una schedina compilata con speranza e trepidazione e nel ricordo tenero di chi ci ha insegnato ad amare questo gioco.
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