Nel Real Sala Baganza Paralimpico ho visto tutta la forza che nel calcio mi manca tremendamente
Ora che il calcio “è finito” faccio un passo indietro sul calendario.
Torno a quando Simone Rossi, educatore e allenatore, mi invita a vedere una partita della sua squadra, un miscuglio di caratteri non facile da gestire, un’acrobazia sospesa tra situazioni emotive che possono scatenarsi da un momento all’altro, fra crisi e tensioni e abbracci liberatori. Prendono un sacco di gol, ogni squadra avversaria sembra più forte e la porta in cui segnare è lontana come un rifugio di montagna. Ma non importa, quello che conta è esserci (e hanno vinto la coppa disciplina!).
“Vieni con noi? Dopo giochiamo al Tardini” e li precedo in bicicletta. “Vieni in panchina?” e sono lì, lo ammetto, dentro questo stadio circondato da spalti vuoti e da fili d’erba affollati che non si vede il fondo di terra. Fa caldo che brucia gli occhi, in campo sudano come rubinetti lasciati aperti. Ma la forza che anima questa squadra è tutto quello che ormai non vedo più, che nel calcio mi manca tremendamente e che vorrei vedere ancora: è il Real Sala Baganza Paralimpico, di mister Simone e il suo vice Orlando Castiglione e Michele Bertoli dirigente, senza dimenticare il primo tifoso della squadra, che ne è anche il presidente: Claudio Guareschi.
Non mi commuove il diversamente abile o l’abilità speciale, mi commuove la forza che anima il rapporto umano, l’infaticabile incoraggiamento e sostegno al gruppo, l’instancabile educazione al rispetto delle regole, dell’avversario e dei compagni di squadra. Non c’è un traguardo, c’è una strada da percorrere ed è bello farlo insieme.
“Domattina Raz è convocato con l’Under 18 Regionale Paralimpica… hanno allestito un campetto in Piazza Garibaldi”. La Piazza di Parma è intasata di gazebo sportivi, marchi di fabbrica dove si producono spettatori dal consumo facile. Chiedo dove giocano, nessuno lo sa. Finchè una ragazza mi dice che forse… Così mi sposto e così faranno i giocatori: cambio di programma, son cose che succedono.
Il vento fa cadere le transenne improvvisate per arginare folle che non ci sono, una porta confina quasi con le vetrine dei negozi (auguri!), lo speaker commenterebbe in diretta (se solo il service audio si facesse vivo), lo stesso Gravina, Presidente FIGC, arriva splendido circondato da giacche e cravatte (più occupate a fare foto di rito con raccomandazione di spostare i cassonetti sullo sfondo). Gravina dice due cose che se le porta via il vento (intanto arriva il service audio e la batteria della cassa dopo mezz’ora ti saluta: è il Festival della Serie A, ma liquida la situazione come fosse di serie B).
Raz per la prima volta indossa la maglia della selezione, mi guarda spesso, mi cerca con gli occhi, ci siamo conosciuti in un laboratorio di disegno e ora sono a bordo campo con lui. E’ il suo momento, entra in campo. E’ felice, Raz, come quella felicità che negli anni ho visto svanire sui campi da calcio frequentati dai miei figli, campi di campionati che illudono genitori e mietono dilettanti che guardano troppe skills su TikTok, allenati da fenomeni autocertificati e dirigenti con la passione per tesserare quote d’iscrizione.
Mi abbraccia Raz, ringrazio Mister Simone Rossi che non lo sa, ma mi ha dato una lezione di come dovrebbe essere la vita: guardarsi indietro, assicurarsi che ci siamo tutti e, se serve, aspettare chi ha un passo più lento. Torno a casa, devo raccontarlo al più presto ai miei figli.
L'articolo Nel Real Sala Baganza Paralimpico ho visto tutta la forza che nel calcio mi manca tremendamente proviene da Il Fatto Quotidiano.