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Addio a Lucio Germani, lo storico presidente che portò il Monfalcone in D e a Cuba

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Addio a Lucio Germani, lo storico presidente che portò il Monfalcone in D e a Cuba

MONFALCONE Una città piange lo storico patron. A lutto, l’Ufm si cinge il braccio con la fascia nera. La palla, per qualche istante, non rotola più, si ferma per rispetto. Artefice dei successi dell’A.C. Monfalcone, soprattutto della sua resurrezione dopo l’amarezza della terza categoria fino alla gloria della D, si è spento lunedì Lucio Germani, classe 1951. Commerciante, cresciuto con i genitori nella bottega Da Gusto, una delle prime due gelaterie in città, poi gestore del dirimpettaio Passpartout di via 9 Giugno, oggi Refolo, è stato a lungo titolare della notissima trattoria-paninoteca Da Boscarol. E alzi la mano quel bisiaco che non c’ha mai messo piede: non esiste. Lascia la moglie Paola, i figli Andrea e Monica, la mamma Duilia Gandin.

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Personalità schietta e generosa, Lucio Germani non è mai stato solo un presidente, ma un trascinatore, l’organizzatore perfetto, il cacciatore di sponsor, il buon padre, un amico per i giocatori che l’hanno sempre portato nel cuore. E l’hanno seguito in ogni impresa, fino all’altro capo del mondo, a Cuba, quando c’è stato da festeggiare la vittoria del campionato in Eccellenza, con trampolino in D. Lui, d’indole generosa, aveva pagato la vacanza a tutti: mister e team. Dieci giorni a rosolare tra acqua cristallina e palme, dopo le fatiche di un anno sbalorditivo da consegnare ai posteri.

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Perché Germani era, soprattutto, un sincero appassionato delle piroette del pallone, spettatore delle acrobazie degli undici fin da quando portava i calzoni corti e con l’amico Giordano andava a vedere le partite allo stadio. Uno che, lo scorso settembre, all’ingresso in campo dei biancocelesti al Boito aveva confidato ad Alfredo Lugli: «Rudy, quest’anno te ga una bela squadra, te vederà che sarà un ano de vertice». «Lucio te speto in campo», aveva ribattuto l’altro nell’ultimo vis-à-vis. Con coraggio, da tempo, Germani combatteva la sua personale battaglia contro uno di quei mali spietati che non dà possibilità d’appello. Nonostante ciò, e fino all’ultimo ha distribuito, con abnegazione, il suo sorriso agli altri.

Per propensione solare, l’ex patron del Monfalcone non aveva peli sulla lingua, dicono gli amici. Ma sapeva dire le cose più spigolose, con garbo. Nei primi anni Duemila aveva lasciato le redini della squadra ed era stato uno dei fautori della fusione tra Monfalcone e Fincantieri, prima due realtà distinte poi un’anima sola. C’aveva visto lungo e gli avevano affidato la vicepresidenza. Lugli, attuale patron, ha già chiesto che la squadra partecipi al funerale di Germani in divisa e, al primo match, indossi la fascia nera.

Per dire di che pasta fosse Germani si potrebbero raccontare mille aneddoti da spogliatoio. Ma una parte della sua generosità è rimbalzata pure su queste colonne, quando, nel 2011, agli “orfani” della Falconstar basket fu offerta consolazione con l’ingresso gratuito al Cosulich. «È un modo – disse in quell’occasione – per venire incontro alle difficoltà in cui si è venuta a trovare la nostra maggiore società di basket, o meglio i suoi tifosi che, dopo aver pagato l’abbonamento, adesso si ritrovano beffati. Vengano a tifare per noi: non sarà la stessa cosa, ma son certo che sapranno apprezzare lo sforzo “sano” che l’Ufm sta compiendo per risalire la china». Insomma, solidarietà tra sport diversi.

Un dispiacere immenso, per Lugli, che esprime vicinanza, a nome di giocatori e tecnici, ai familiari di Lucio, nel frangente di straziante dolore: «Una figura importante per Monfalcone, come anche Sergio Politti, di cui il patron aveva portato avanti l’imprinting. Ricordo tanti episodi salienti e, tra tutti, la finale di Coppa Italia, che diede lustro alla squadra e a Monfalcone. Un’eredità pesante: speriamo di essere alla sua altezza». «La sua presenza nell’Ufm è stata fondamentale nell’amalgama delle tifoserie, un fatto non banale, per l’aria che prima tirava nei derby», aggiunge. «Un personaggio – conclude – che ha fatto lo sport e che merita, ora, di essere ricordato dalla città. Sentiamo tutti una grande tristezza. Era schietto, verace, istintivo. Andava dritto al punto e sapeva rimboccarsi le maniche, con approccio positivo». «Il bello di lavorare con Lucio – così Fabio Grillo, il mister – era che non metteva mai becco sugli schemi, lasciava carta bianca. Nello stesso tempo era un impareggiabile organizzatore e cacciatore di sponsor. Un generoso. Quando salimmo in D ci portò tutti a Cuba. E quando ci trovammo, per il match decisivo, a Prato nella finale di Coppa Italia, noi in corriera con pranzo all’autogrill, d’altra parte uno squadrone di trenta dirigenti e giocatori che già da due giorni si allenavano sul campo, sfoderò gagliardetti e targhe per gli avversari, che rimasero di gesso, non riuscendo a ricambiare il gesto, perché arrivati a mani vuote».

Anche per questi dettagli, ma non solo, Germani era stimato da tutti i collaboratori, nel mondo del calcio persona perbene come poche se ne vedono. Sicuramente ha smesso di soffrire, ma, l’impressione è questa, se n’è andato troppo presto via dal campo.

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