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Qualcuno era calciatore e votava comunista. Boninsegna: “Mio padre morto per la fabbrica. Senza il pallone, quello era il mio destino”

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Qualcuno era calciatore e votava comunista. Boninsegna: “Mio padre morto per la fabbrica. Senza il pallone, quello era il mio destino”

Bruno Boninsegna ha lavorato per 36 anni alla Cartiera Burgo di Mantova. Classe 1917, se ne è andato a 61 anni per un brutto male al fegato, in tempo per seguire quasi tutta la splendida carriera del figlio Roberto, uno dei centravanti italiani più forti di tutti i tempi. Bruno era anche membro della commissione interna della fabbrica. Votava comunista così come Bobo, stando alla dichiarazione che fece nel 1976 al Guerin Sportivo, quando si chiese ai calciatori quale partito avrebbero scelto alle urne. “Il mio era un voto di tradizione familiare – dice oggi l’ex bomber della Nazionale a ilfattoquotidiano.it – mio padre ha lavorato una vita intera ed è morto per colpa della fabbrica. Gli operai venivano trattati come bestie. Se non fossi diventato calciatore, probabilmente quello era il mio destino”.

Oggi è il centenario del Partito Comunista Italiano, fondato a Livorno in seguito alla separazione della parte sinistra del Partito Socialista Italiano. Il 3 febbraio 1991 la dissoluzione ufficiale del partito che tra quelli comunisti è stato il più grande in Europa occidentale. Ormai il muro di Berlino era caduto e anche l’Urss si stava disgregando. “Ho votato Pci – continua Bonimba – ma mi è capitato anche di non andare a votare. Ho cercato tuttavia di tenermi il più possibile lontano dalla politica. A Mantova, la mia città, mi hanno cercato sia a destra che a sinistra, ma io mi sento un uomo di sport”.

Comunardo Niccolai, scudetto con il Cagliari e presenze in Nazionale, è calcisticamente un figlio d’arte. Il padre Lorenzo fu il portiere del Livorno negli anni Trenta. Il nome Comunardo è in onore della Comune di Parigi. Stando a quel numero del Guerin anche lui avrebbe votato Pci. “Non mi ricordo assolutamente di quelle pagine – dice oggi l’ex difensore – Non credo di aver votato così. La politica mi ha sempre interessato il giusto. Mio papà era di quell’area politica, ma mi ha sempre lasciato libero senza influenzare mai le mie scelte”.

Tra coloro che avevano dichiarato il voto per il Pci anche Claudio Onofri, bandiera del Genoa ma che nella stagione 1975-76 aveva giocato nell’Avellino. La maggioranza dei calciatori intervistati era per la Democrazia Cristiana, a seguire il Psi. Il Pci alle tornate elettorali di domenica 20 e lunedì 21 giugno avrebbe preso il 34,37 percento, a pochi punti percentuali dalla Dc. Il miglior risultato della storia per il partito di Enrico Berlinguer. Onofri, lei ha poi mantenuto l’intenzione di voto? “Sicuramente. Io nasco e morirò così: anche se oggi tutto è cambiato”. Papà e nonno Onofri erano antifascisti. Nato a Roma, Claudio si trasferisce a sei anni con la famiglia a Torino, quartiere Vanchiglia. Entra nelle giovanili della squadra del rione. La sua fidanzatina diventa Mariangela Sollier, sorella di Paolo anche lui tesserato per lo stesso club. “Paolo Sollier ha quattro anni più di me – racconta Onofri – e ci allenavamo nello stesso campo. Siamo a metà degli anni Sessanta, mi avvicino a quel pensiero grazie a lui e ai movimenti che si creano attorno alla scuola superiore che frequento. Sembra quasi una contraddizione che l’élite calcistica stia col popolo e con i lavoratori ma quello era il periodo giusto per essere di sinistra. Io ho sempre votato Pci, ma ho creduto più nell’idea che non nel partito”.

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