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Giro d’Ammiraglia – “Come si chiama questo vento?”

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Sesta puntata del diario dal Giro di Giovanni Ellena, direttore sportivo dell’Androni-Sidermec: le strane curiosità in corsa di Simon Pellaud… E che peccato per i ragazzi che hanno dovuto abbandonare per le cadute

Giovanni Ellena, direttore sportivo Androni-Sidermec, ci accompagna lungo tutto il Giro d’Italia con un diario quotidiano attraverso cui ci racconta storie, personaggi, impressioni e dietro le quinte della corsa rosa vissuta dall’ammiraglia

Mercoledì 12 maggio – “Come si chiama questo vento?”

L'infaticabile Simon Pellaud © Androni-Sidermec
L’infaticabile Simon Pellaud © Androni-Sidermec

Ci sono giornate che nascono facili e finiscono difficili. Oggi avrebbe dovuto essere una tappa di trasferimento. Lo stesso staff al pari degli atleti era alleggerito mentalmente.

È finita come invece le cronache riportano, alcuni ragazzi che si giocavano posizioni alte di classifica abbandonano il gruppo ed i loro sogni per cadute. Viene in mente che la caduta è conseguenza normale per uno sport dove l’equilibrio è la legge, ma spesso ci si ritrova a ragionare coi se e coi ma.

Senza i fatti degli ultimi chilometri, la cosa più rilevante e simpatica di giornata sarebbe rimasta il dubbio del vento. Dopo 50 km tutti, ammiraglie ed atleti, eravamo sul chi va là. Il meteo segnala vento laterale, parte perciò l’immediata comunicazione al gruppo. La cosa si percepisce anche in televisione, il nervosismo è palpabile.

Ed è proprio in questo frangente che esce la chicca di giornata. Segnalando ai ragazzi la problematica vento, arriva, via radio, una domanda che lascia perplessi. Pellaud, lo suizo colombiano, chiede: “Come si chiama questo vento?”. La prima reazione è: “Ma cosa gli importerà del nome del vento?”. La seconda è: “Perché non dirglielo, se basta questo a farlo contento?”.

Arrivando da sud/sud/est, dopo varie elucubrazioni (vedi diario di ieri), nel miglio si suppone che sia libeccio. Ma, alla comunicazione che il nome sia tale, il nostro amico obietta: “Il nome è diverso”. Questa risposta ci sembra bizzarra quanto la domanda di prima, però dice molto sulla serenità mentale dell’atleta. Infatti molti (tutti) sono semplicemente preoccupati di capire da che parte dell’eventuale ventaglio sia meglio stare, non il nome preciso del fenomeno atmosferico. Fortunatamente, vuoi per gli attraversamenti cittadini, vuoi per il calo della forza ventosa, tutto si risolve con una bolla di sapone. Se non per il fatto che rimarrà il dubbio amletico sul nome del vento.

Solo in serata si svelerà l’arcano. Nella riunione mattutina, avevamo sottolineato che sì, c’era possibilità di vento, ma che sarebbe arrivato dalla zona collinare della Romagna, quindi con meno forza. La definizione precisa, in mia assenza, da parte del massaggiatore era stata: “brezza di terra”. Inutile dire che tale definizione per un non italiano poteva avere parvenza di termine scientifico…..

 

Martedì 11 maggio – Che sensi di colpa, stare in macchina all’asciutto!

Tanta pioggia per Tagliani e gli altri fuggitivi © Androni-Sidermec
Tanta pioggia per Tagliani e gli altri fuggitivi © Androni-Sidermec

Piacenza-Sestola. 187 km, dislivello di 3200 mt. Meteo: pioggia.

La riunione di stamane inizia in questo modo.

Andando oltre il puro discorso tattico un tale meteo è preludio di protagonismo assoluto, in auto, di un accessorio in dotazione del ciclista poco conosciuto dai tanti ma indispensabile. La cosiddetta borsa del freddo o, con il termine inglese, che forse rende più l’idea, la rain bag (borsa della pioggia).

In ogni ammiraglia ogni ragazzo ha una borsa del freddo, all’interno tutto quanto necessita per coprirsi dal freddo, dalla pioggia o di ricambio per eventuali necessità, dalle scarpe in avanti. Cinque ore sotto la pioggia sono difficili da fare passeggiando tranquillamente con un ombrello, figuriamoci su una bicicletta ai 50 all’ora.

L’andirivieni dall’ammiraglia per abbigliamento più pesante o anche solo asciutto diventa una conseguenza. Il team, se consolidato, vive la gara in simbiosi, diventa quindi naturale, per chi è in auto, sentirsi quasi in difetto per essere al caldo ed all’asciutto, con conseguente tentativo di fornire al meglio quanto richiesto, dal manicotto alla mantellina asciutta allo smanicato antivento. Non per ultima, in alcune fasi di gara, la barretta già scartata: perché non è così scontato che si riesca ad aprire la confezione con le mani gelate e bagnate pedalando su una bicicletta.

Se poi ci aggiungiamo la caduta di Andrii (Ponomar) in partenza con conseguente medicazione da parte del nostro doc Maurizio, ed il cambio di bici verso metà gara da parte di Natalino (Tesfatsion) per una foratura e, quasi in contemporanea, da parte di Andrii (sempre lui) per problemi al cambio (causati sicuramente dalla caduta precedente) da parte del nostro meccanico Puccio (al secolo Pucciarelli), possiamo dire che l’ammiraglia oggi ha fatto la sua parte.

Nel frattempo la fuga dei 25 è già là davanti con i nostri Venchia e Taglio (Venchiarutti e Tagliani) alla caccia di traguardi volanti, ma questa è cronaca di gara.

Le facce all’arrivo di tutto il gruppo, anche dei primi, la dicono lunga sulla giornata; all’interno dell’ammiraglia montagnole di abbigliamento bagnato sottolineano la sofferenza degli atleti. La giornata vera e propria finirà verso le 21.30, ora di cena, quando si finiscono i massaggi e le bici sono anche loro all’asciutto sul camion.

Oggi nel “miglio” – come il nostro doc chiama l’ammiraglia – c’è stato poco spazio per “elucubrazioni”, sempre parafrasando la definizione del nostro doc sulle nostre chiacchiere da miglio. E pensare che Matilde di Canossa (siamo passati di lì) meritava qualche minuto di confronto. Confronti che solitamente finiscono con la frase in modenese del doc: “t’e studia trop….”.

Intanto il nostro ex, Dema, stasera va a nanna vestito di rosa, non possiamo che esserne felici anche noi.

 

Lunedì 10 maggio – Il bimbo Ponomar, un ragazzo in un corpo da granatiere

Simon Pellaud e Taco Van der Hoorn © Androni-Sidermec - Bettiniphoto
Simon Pellaud e Taco Van der Hoorn © Androni-Sidermec – Bettiniphoto

Oggi era doveroso essere in avanscoperta, si parte da Biella, a pochi km dalla nostra sede logistica, perché se è vero che il centro degli allenamenti dei nostri “stranieri” è il Canavese è altrettanto vero che il cuore pulsante della nostra logistica è proprio nel biellese.

Quando le partenze sono sotto la pioggia come oggi è facile percepire la preoccupazione di tutti, in primis degli atleti, sul bus tra i profumi degli oli per massaggi e le borse del freddo che vengono saccheggiate per essere coperti al meglio, la tensione si taglia con il coltello. Oggi le previsioni erano di pioggia solo per i primi km, ma, si sa, non si ha mai la certezza al 100% e 190 km sotto l’acqua non sono esattamente una passeggiata. Comunque è andata bene, e lo ha testimoniato l’espressione felice di Natalino (al secolo Natnael Tesfatsion) quando ha riportato la sua mantellina all’ammiraglia: “Today I’m an happy guy!!”.

Intanto i nostri due eroi di giornata, Simon Pellaud, detto lo suizo colombiano, suizo per nascita, colombiano per amore, e Andrii Ponomar, il nostro bimbo (dal punto di vista anagrafico) erano già la davanti in avanscoperta.

Stamattina in riunione avevamo messo in preventivo che il margine di arrivo di una fuga fosse limitatissimo, ma bisognava provare, fosse anche solo per raccogliere punti di GPM e traguardi volanti. Andrii, nonostante sia da poco in Italia, parla già molto bene la nostra lingua, ma è normale che qualche volta gli sfugga qualcosa. A fine riunione vuole essere sicuro e quindi chiede: “Oggi io fuga?”. Risposta scontata e da parte sua “detto fatto”. La manca di pochi metri, per inesperienza, ma non desiste e con una caparbietà da grandi rientra, anche grazie all’attesa complice del grande Simon.

Il finale era da classica del nord, un toboga di salite e discese, dove ci vuole un buon mix di condizione atletica e capacità di guida della bici per essere là davanti. Un finale da giramento di testa, se mi permettete l’esempio, simile agli effetti di una buona bottiglia di buon vino, e in questa zona ne sanno qualcosa… E nel toboga, come ormai d’abitudine per i finali di gara, il nosto Rava (Ravanelli), nel gruppo dei migliori, si mette in tasca il Chalequito (Cepeda). Lo scorterà all’arrivo senza problemi.

Il resto è cronaca, il grande Taco ce la fa a resistere beffando il gruppo dei migliori. Il grandissimo Simon è tra gli ultimi ad arrendersi. Sul bus, subito dopo la gara incrociamo gli sguardi, è più che sufficiente, le parole sarebbero di troppo. Lui ha dato più di tutto. Peccato, ci riproveremo.

Andrii, complici i suoi 18 anni, sigla la giornata con un: “Bene, ma non benissimo…”. Qualche appassionato si è chiesto come mai l’abbiamo da subito lanciato al Giro, al contrario di quanto avevamo fatto con Bernal o Sosa, per i quali avevamo progettato una crescita più graduale. Ma il “bimbo”, nonostante sia appena maggiorenne, ha un fisico già formato, al contrario di Egan o Ivan alla sua età. Sembra un granatiere, è un uomo a tutti gli effetti. Un ragazzo dentro un corpo adulto. Con la genuinità dell’adolescenza, quella che gli fa tirare fuori quelle sentenze con cui, nonostante le fatiche della giornata, strappa un sorriso a tutti. E il pensiero vola già alla tappa di domani.

 

Domenica 9 maggio – “Tranquillo, noi ti abbiamo visto”

Filippo Tagliani © Androni-Sidermec
Filippo Tagliani © Androni-Sidermec

Il giorno della seconda tappa è arrivato. Da Stupinigi a Novara, dalla palazzina di caccia dei Savoia agli antichi confini orientali del Regno di Sardegna. Tappa di pianura, se non per una puntata sulle colline astigiane, verso metà percorso, d’altronde bisognava pure inventarsi il primo Gran Premio della Montagna di tutto il Giro.

Oggi è il giorno in cui noi dobbiamo tenere alta la nostra reputazione. La presenza di un uomo nella fuga. Un dovere verso il pubblico e gli sponsor. Lo sappiamo tutti che la fuga di oggi non arriverà all’arrivo, è scritto. Ma, per essere diretti come di mia abitudine, lo sponsor paga perché il suo nome venga nominato in TV, e lo spettatore vuole sognare assieme al Carneade di turno.

E già solo essere Carneade non è poi così semplice, la visibilità in televisione fa gola a tutti. La necessità di sognare fa il resto.

Oggi il nostro uomo è Filippo Tagliani, uno dei quattro designati al mattino per questo compito. Perché non è che si decide a tavolino un prescelto: si programma, si studia, si individuano alcuni candidati all’azione d’attacco, ma poi è il destino, la fortuna, anche se cercata, a decidere. Parte una fuga e non un’altra, non puoi stabilirlo sul bus prima della tappa.

Si sa che la fuga, in giornate come queste che sono nel mirino dei velocisti, ha la stessa probabilità di arrivare al traguardo di una nevicata su Torino in agosto, ma c’è in palio la notorietà, e non solo. Come accennato prima, oggi , il primo traguardo delle montagna assegnerà la maglia azzurra (ex verde). Salire su quel podio per indossarla, anche solo un giorno, è già una vittoria. La perdiamo per pochi centimetri, ma ci abbiamo provato fino all’ultimo, e questo consolida la compattezza del nostro gruppo. La stessa che si è vista nel finale, quando il Rava (Ravanelli) come da suo compito, si è messo “in tasca” il Cepe alias Chalequito (Cepeda) per non fargli correre rischi in vista dell’arrivo.

A proposito di gruppi affiatati, oggi sono venuti a trovarmi i miei amici ciechi. Mi capita, raramente purtroppo, di accompagnarli qualche volta in tandem, come guida. Mi ha avvicinato a loro Andrea, una delle guide più presenti ed attive. Ormai è il terzo anno che vengono a trovarmi al Giro. Purtroppo oggi, nel punto in cui erano fermi ad aspettarmi, il nostro Andrii Ponomar aveva bisogno di assistenza. Non li ho visti. In serata ho chiamato il presidente dell’associazione, il grande Ivano. Mi ha detto: “Tranquillo, noi ti abbiamo visto”. Direi che uno “chapeau” e forse anche un Oscar, per la classe e l’umiltà, gli va di diritto.

 

Sabato 8 maggio – Natnael Tesfatsion e la Sacra Sindone

Natnael Tesfatsion © Androni-Sidermec
Natnael Tesfatsion © Androni-Sidermec

Se mi chiedessero di riassumere il giorno della cronometro con un titolo di un film, sicuramente direi: “Il giorno più lungo”. In comune con il film c’è ben poco, se non il titolo. Quasi blasfemo paragonare una giornata del nostro lavoro con tragedie come quelle raccontate nel film. Non per niente, mio padre, a qualche lamentela di lavoro o altro ripeteva: “ti ci andrebbe un po’ di ’45….. anzi un po’ di ’43, perché nel ’45 si stava già meglio”. Naturalmente riferito alle carestie del secondo conflitto mondiale.

Permettendomi la blasfemia, l’associazione viene naturale, perché la crono è una gara a sé, richiede ancora migliori sincronismi di tutti, staff ed a atleti, dall’alba al tramonto, nella giornata più lunga, nonostante la brevità della prestazione.

Per chi guarda dall’esterno, per un team come il nostro, senza grandi ambizioni nella crono, magari può sembrare tutto più semplice. Ma non bisogna dimenticare che anche l’ultimo atleta classificato, in queste prove, fa una fatica immensa. Mostri come Ganna & C., in gare così brevi, mettono a rischio la presenza ai nastri di partenza del giorno successivo. Finire fuori tempo massimo non è così impossibile. Bisogna essere mentalizzati, dare più del meglio di se stessi. L’imprevisto è dietro l’angolo, la caduta, la foratura. Perdere 2’38” (tempo massimo odierno) per qualche inconveniente, può succedere. Soprattutto considerando che già un poco di dazio è da mettere in preventivo a livello di prestazione.

Comunque, dopo una giornata iniziata alle 7 e finita alle 20, con verifiche di materiali, prove di percorso, e naturalmente il momento di gara, possiamo dire che da domani inizia il nostro Giro. Quello dei giovani all’arrembaggio. Quelli a cui stasera ho potuto dire: “Benvenuti all’università del ciclismo, avete superato il test d’ingresso, da domani inizia il nostro Giro, quello all’attacco”.

Naturalmente, quando ci si ritrova con 8 atleti di 6 nazionalità diverse, anche in giornate come queste, le chicche non mancano mai. Natnael Tesfatsion , il nostro scalatore eritreo, viene da una famiglia molto religiosa. Il parcheggio odierno riservato ai bus era nel cortile del Palazzo Reale torinese, alle sue spalle c’è il Duomo. Non dimenticherò mai l’illuminarsi degli occhi di Natnael nel momento in cui, oggi, qualche minuto prima che iniziasse il riscaldamento, gli ho raccontato che a pochi metri da lui veniva conservata la Sacra Sindone. In automatico è partita la chiamata WhatsApp verso la sua terra, la sua famiglia.

La Sacra Sindone non è visibile al pubblico, se non in rare occasioni; e anche se lo fosse, oggi Tesfatsion non avrebbe in ogni caso potuto fare un salto al Duomo, per ragioni facilmente immaginabili, legate alla logistica della corsa e ai tempi ristretti a disposizione dei corridori; ma ora sa dove si trova quest’importante simbolo religioso e sono sicuro che appena gli sarà possibile farà la sospirata visita. Travolto da questi pensieri mistici, è finita che Natnael il riscaldamento l’ha iniziato con un po’ di ritardo; ma diciamo che la causa era più che lecita.

 

Venerdì 7 maggio – E pensare che avrei dovuto stare in Ungheria…

Giovanni Ellena © Adispro
Giovanni Ellena © Adispro

Torino, qualche settimana fa: il Giro d’Italia stava per partire dal capoluogo sabaudo, la mia città, ma senza di me. Sarebbe stato il mio tredicesimo Giro in ammiraglia, ma il destino aveva deciso che il mio lavoro sarebbe stato altrove, per la precisione in Ungheria ed in Francia, perché la mia squadra, l’Androni-Sidermec, non aveva ricevuto la wild card per la corsa rosa, e tutti noi eravamo destinati ad altre strade, altre gare.

Dopo la notizia del non invito, avevo cercato di reagire come reagirebbe un ciclista, dopo la caduta ci si rialza e si riparte. La programmazione dell’attività alternativa era subito iniziata.

Il 15 aprile, il fato, parente del destino nominato precedentemente, ha deciso che invece saremmo stati della partita. Squadra sabauda alla partenza sabauda. La notizia ha fatto risvegliare il sopito ma sempre presente amore per il Giro.

In due settimane è stato necessario riprogrammare l’attività di tutto il team, dalla distribuzione degli atleti, del personale, dei mezzi sulle varie gare. Logistiche importanti se si considerano 42 giornate totali di gara in un mese, con attività in Africa, Ungheria e Francia, oltre al Giro. Ma quando arriva l’adrenalina di un invito del genere tutto è più facile.

La fortuna vuole che, in fondo, l’avvicinamento a livello di gare, in vista dell’attività mese di maggio, era impostato in visione di una possibilità di fare la corsa italiana più importante, pertanto in parte eravamo già pronti. Chiaramente inteso per un team come il nostro, che deve svolgere una funzione.

La scelta degli atleti è sempre la più dolorosa, perché si sa che la speranza di partire ad un Giro ce l’hanno tutti, ma sono convinto che abbiamo fatto le scelte migliori. Compresa la decisione di schierare Andrii Ponomar, 18 anni, il più giovane atleta partecipante al Giro d’Italia, almeno dal dopoguerra in avanti.

Domani ci sarà la prima tappa, la crono iniziale, si sfilerà nelle vie storiche dove di abitudine passeggiava Cavour ragionando su politica internazionale, dove decise strategicamente l’alleanza con francesi ed inglesi contro l’impero russo inviando dei contingenti piemontesi in Crimea. Ponomar arriva dall’Ucraina, al confine con la Crimea, un giorno magari, tra i suoi silenzi ed i miei, parleremo anche di questa casualità.

L'articolo Giro d’Ammiraglia – “Come si chiama questo vento?” proviene da Cicloweb.

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