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Mathieu il mezzofondista: an Urban Legend

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Ritorna il moviolone dedicato a Mathieu van der Poel e alla sua condotta di gara all’Urbancross. Che provoca un po’ di attriti in casa Pauwels Sauzen

Dopo l’impresa di Koksijde, abbiamo deciso di dedicare un’altro approfondimento a Mathieu van der Poel, analizzando nel dettaglio momenti chiave della gara di Kortrijk, terza prova del DVV Trofee. Perché? Perché per quanto la trentaquattresima vittoria consecutiva di un campione possa risultare all’apparenza una cosa scontata, ovvia, inevitabile, in questi successi viene lasciato pochissimo spazio all’improvvisazione. Proprio perché il vantaggio di Van der Poel sta nelle sue capacità fisiche mostruose, questa grande forza non può essere abbandonata al caso, ma deve essere sprigionata con un raziocinio.

Non ci avete capito niente? Bene, cerchiamo di andare dritto al sodo. La gara di Kortrijk si avvale del nome di “Urban Cross” ed è un’etichetta azzeccata: un percorso cittadino tra le sponde di un fiume, per lo più pianeggiante, con molti tratti in asfalto o su terreno asciutto. Un percorso sul quale è molto difficile fare selezione e che, badate bene, potrebbe somigliare molto al mondiale di Dübendorf. Mathieu, che è molto indietro nel challenge non avendo partecipato alla tappa iniziale del Koppenbergcross ed ha bisogno di fare distacchi pesanti, evita così di partire a tutta come già fatto ad Hamme e si nasconde pure, permettendo ai rivali anche di fare un buchetto a un certo punto che però chiude con facilità.

Al sesto giro, sono ancora in 7 a comandare la gara, ma Mathieu trasmette i primi segnali di un attacco. La prova come dicevamo è sostanzialmente asciutta, ma c’è un tratto fangoso, lungo circa 120 metri, con parti da fare a piedi. Prima di questo tratto c’è la possibilità di passare ai box, e l’iridato è l’unico che a farlo.

Trovandosi così con la bici pulita. Come tutti gli altri, scende dalla bicicletta quando comincia il tratto fangoso.

Ma, a differenza degli altri, decide di non risalire nei tratti più scorrevoli e farsela tutta di corsa: una scelta che per un atleta comune risulterebbe logorante. Non per lui, che a piedi, sembra addirittura guadagnare in velocità sui rivali:

Van der Poel si rimetterà in bicicletta dopo 33″ di corsa, successivamente agli ostacoli, coprendo in tale tempo una distanza di circa 120 metri con una bici in spalla, superando anche alcuni rivali tra cui Iserbyt. E qua apriamo una riflessione: come ce lo vedreste Van der Poel in versione mezzofondista?

Perché ha fatto tutto questo? Perché di lì a poco arriverà l’attacco decisivo, e Mathieu, affrontando a piedi l’unico tratto sporco della gara, si è garantito a differenza degli altri una bicicletta completamente pulita, regalandogli un vantaggio ulteriore necessario per fare la differenza. Prima di partire con l’azione decisiva, nel rettilineo sul fiume Leie, si guarda indietro

Il motivo è presto detto: sta cercando la posizione del rivale più temibile, Eli Iserbyt. Il quale fino ad allora era stato attento e guardingo, soprattutto nel primo giro, ma che in questa circostanza si è fatto sorprendere anche in maniera abbastanza clamorosa: prima ancora che Van der Poel faccia la differenza, ha circa 20 metri di distacco, più o meno la dimensione di una barca fluviale

Spetta a Michael Vanthourenhout (per gli amici Spud, vista la somiglianza col personaggio di Trainspotting), sempre della Pauwels Sauzen, l’ingrato compito di star dietro all’attacco di Mathieu e come capitato per Sweeck la settimana scorsa, tiene finché l’acido lattico non gli arriva alle orecchie, cosa che succede sul ponte al traguardo. A questo punto si gira, e scorge il suo capitano che tardivamente si sta portando in testa all’inseguimento

E una volta realizzato che Van der Poel è andato, e che il suo capitano se l’è giocata particolarmente male, Spud ci tiene a farglielo capire a schiaffi. Severo ma giusto.

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