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il gioco degli dei

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La storia di Malik Mir Sultan Khan…
Punjab 1965. Tutto ha inizio dalla ricerca di Norman La Motta, corrispondente del “Washington Post”, di Malik Mir Sultan Khan, grandissimo giocatore di scacchi sul quale aveva già raccolto in passato parecchio materiale e foto “che risalivano agli anni Trenta, quando era sbarcato in Europa al seguito del maharaja Sir Malik Umar Hayat Khan.” Quattro anni di successi per poi svanire improvvisamente e salire alle cronache giornalistiche come una specie di impostore a causa di uno scandalo relativo all’eredità di una delle donne più ricche d’America. La ricerca inizia partendo dal suo luogo di nascita, chilometri e chilometri in lungo e in largo, finché lo trova a Sargodha, nell’ospedale di una missione di preti colombiani “Macilento, ossuto, il volto scavato, ricoperto dalla barba incolta, e i lunghi capelli candidi che spiccavano sulla carnagione scura.” E’ malato di tubercolosi e accetta di parlare della sua vita proprio per far conoscere la verità oscurata dai giornali.
Ora il racconto in prima persona. Il karma, il destino sembra già tracciato sin dall’infanzia quando una tigre assassina prende di mira il suo villaggio e uccide i suoi genitori. A quindici anni diventa il carnac del villaggio, ovvero il guardiano degli elefanti. E c’è sempre la tigre a gettare panico e paura. A uccidere. Occorre chiedere l’aiuto del padrone, il maharaja Sir Malik Umar Hayat Khan, più semplicemente Sir Umar Khan. Ricco, ricchissimo tanto che “Tentare di scoprire a quanto ammontassero i suoi averi era come pretendere di sapere il numero degli astri in cielo o dei granelli di sabbia nel deserto di Thar.” Ricchissimo, dicevo, appassionato di sport e, soprattutto, del chaturanga, praticamente l’antenato degli scacchi. Un incontro che cambierà la vita al nostro Malik desideroso di conoscere e approfondire “il gioco degli dei”. Mostrando subito ottimo talento viene fatto trasferire a Delhi come servitore nella villa del padrone dove, tra gli altri impegni, assisterà alle partite tra Sir Malik e Kishanlanl Sarda, più volte campione del Punjab, che gli insegnerà anche le nuove regole del gioco occidentale. Al campionato assoluto di Delhi si piazza primo senza alcuna difficoltà.
L’atteggiamento di Sir Uman Khan mette in imbarazzo i convitati inglesi con i suoi discorsi sulla superiorità culturale dell’India, lui ricco ma pur sempre, per loro, un inferiore. Spesso tocca anche il tasto degli scacchi ma parlare di questo gioco è “come premere il dito su un nervo scoperto.” Ad eccezione di Howard Staunton, vissuto nel secolo precedente, non ci sono in Gran Bretagna “punte di diamante”, anche se gli scacchi risultano popolari. Malik gioca con i frequentatori della villa e vince. Solo qualche patta, su ordine del padrone, con le persone influenti. Fino a quando arriva la scommessa da parte di un maggiore inglese che il “sempliciotto” indiano non sarà capace di vincere il Britisch Chess Championship, avendone diritto di iscriversi come suddito della Corona. Scommessa accettata: duecento libbre d’oro del riccone contro un penny dell’altro.
Il 15 marzo 1929 parte per l’Inghilterra con il suo padrone e il maestro Kishanlal Sarda. Viaggio lungo, stancante, l’attacco della malaria, la debilitazione, i primi dubbi e timori. Qualche incontro nei circoli scacchistici londinesi, qualche insuccesso, la difficoltà a trascrivere le mosse, i commenti di disprezzo della gente, dei giornali. Ed ora il British Chess Championship. Vinto, con grande gioia di Umar Khan. Dopo un certo periodo trascorso in Europa la sua visione di gioco viene corrotta, svanisce la sacralità del chaturanga. I giocatori non mantengono il minimo contegno: si alzano, si mettono dietro le spalle, sbuffano il fumo sul viso, tossiscono, bevono whisky, mangiano… Fulminea la carriera, dura poco più di tre anni, ma ciò che lascia tutti di stucco è la sua vittoria ad Hastings contro l’ex campione del mondo Raul Capablanca. Che gli fa una certa impressione per il suo aspetto curato, vestito impeccabilmente, il fazzoletto che gli spunta dal taschino intonato con cura alla cravatta dal nodo sottile, fissato al colletto da una spilla d’argento, i capelli impomatati e la stretta di mano vigorosa. Una vittoria, però, che risulta “tra le meno brillanti” in un finale complicato che “gridava a gran voce alla parità.” Avrebbe accettato addirittura la patta se gli fosse stata chiesta. Ma Capablanca continua la partita fino a quando rovescia il re sulla scacchiera “senza rabbia né livore.” E’ l’ultimo incontro importante per Malik anche se poi vince a Berna, ad Amburgo e due volte il campionato britannico. Qualcosa si è spezzato, si ritrova lontano dalla patria in un mondo che non è il suo, in una città perennemente avvolta nella nebbia. Inoltre Sir Umar Khan non ha più l’entusiasmo dell’inizio, deve assentarsi e lo affida a Lord Clearwater nella residenza del Surrey. Tormentato dal destino, vede che la sua presenza risulta fastidiosa. Si salva con l’amicizia di Mr Charles, il vecchio maggiordomo che gli insegna tutte le regole per diventare un esperto come lui. Ma poi la guerra, la maledetta guerra, i bombardamenti, le complesse vicende personali, l’ospedale… E si ritroverà, addirittura, a New York! Qui il lavoro di tassista, l’incontro con la ricchissima Mrs Abbott, il loro rapporto, l’accusa di impostore, la vittoria della causa…
Non sveliamo altro. Una storia, un viaggio, un lungo viaggio di un uomo segnato dal karma, dalla tigre, dal destino. Un viaggio fra culture diverse, modi di agire e pensare diversi. Il colonialismo, il razzismo, la guerra. Un percorso, duro, difficile, nel corpo e nella mente. Sprazzi di gloria finiti nell’oblio come una stella cadente. E noi lettori ci ritroviamo improvvisamente lì, insieme a lui, con i suoi momenti di esaltazione, di gioia, i suoi dubbi, i suoi tormenti fisici e dell’animo. Paolo Maurensing ci ha donato la carrellata fantastica di una vita, una delle tante vite complesse di questo mondo. Che ci fa pensare e riflettere. Ora sorridenti, ora un po’ malinconici e commossi.

Leggi qui un estratto del libro in formato pdf.

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