Duilio Loi, l’orfano che prese a pugni la vita, senza mai andare ko al tappeto
TRIESTE Tre città. Trieste, Genova, Milano. Tre sole sconfitte, in 126 incontri. Mai subendo un ko. Tre miti triestini della boxe. Lui, Nino Benvenuti e Tiberio Mitri. La suggestione dei numeri e delle coincidenze, tuttavia, difficilmente avrebbe impressionato Duilio Loi. Schietto, concreto come sa esserlo solo chi è stato abituato da bambino a prendere a pugni la vita.
Triestino, Duilio Loi. Ma anche genovese, l’esperienza che lo ha formato, la città che lo ha cresciuto. E milanese, l’ultima tappa, la più lunga di 79 anni di storia. Una storia iniziata il 19 aprile 1929, a Trieste, dall’amore di un marittimo sardo arrivato in città per lavoro (capomacchinista iscritto ai libri di bordo del Lloyd Adriatico) e di una giovanissima triestina, Anna Rivolti. Anna lavora come cucitrice nella sartoria di un cagliaritano, Mario Lopez. Vittorio Loi, che frequenta il titolare della sartoria, la conosce e se innamora. Si sposano nel 1925. Duilio nasce quattro anni dopo, secondogenito dopo Bonaria. Lo chiamano così in onore della nave da battaglia della Regia Marina, quattro missioni durante la prima Guerra Mondiale. Orgoglio della Marina italiana. L’orgoglio, quello, a casa Loi, nella zona di Barriera, non manca. Si vive nella modestia, ma con dignità.
Cresce, Dulio, ma a Trieste fa appena in tempo a farsi qualche amico che lo aspetta un altro giro di giostra. Il lavoro spinge i Loi in un’altra città di mare. Ma è un altro mare. E un’altra storia. Genova. Una ripartenza che dall’inizio si fa maledettamente dura. L’episodio lo racconta lo stesso Loi in un’intervista. «Mi avvicinano due carabinieri. Chiedono di mia madre. Non c’è, è uscita. “Sei figlio unico?”. Sono l’unico figlio maschio. “Debbo darti una brutta notizia. Tuo padre, affondato sul Campobasso, è morto in mare. Sarai tu il capo di casa” e mi dà un buffetto sulla guancia. Mi ha preso una rabbia cieca, il rancore di non sapere, un’ombra nera davanti agli occhi: perchè?»
Il mare gli ha tolto il padre e la possibilità di un’adolescenza normale. Il mare, al porto, può dare un po’ di lavoro ma un ragazzo ha anche diritto di sognare. Nel pugilato chi riesce a sfondare qualcosa guadagna e gli altri lo portano in palmo di mano. A Genova c’è la palestra di Dino Bensi, un maestro. Di aspiranti pugili ne vede passare tanti e i consigli li dà in dialetto genovese. Ci mette niente a intravvedere il talento.
Ha talento ma anche un caratterino, Loi. Da dilettante vince, e tanto, tra i piuma,’ ma quando in vista delle Olimpiadi di Londra del 1948 il commissario tecnico della Nazionale gli vieta il fumo il carattere fumantino emerge: prende e se ne va. Alle sigarette non si rinuncia. Passare professionista significa avere più autonomia e poter guadagnare. La scelta diventa obbligata. Inizia la scalata. Campione d’Italia dei pesi leggeri, nell’agosto di settant’anni fa arriva la chance europea contro il danese Johanssen. L’avversario combatte sul ring di casa e infligge a Loi la prima sconfitta della carriera, ai punti perchè a batterlo mandandolo al tappeto non ci riuscirà nessuno. Troppo orgoglio per mandare giù un verdetto così amaro. Chiede e ottiene la rivincita. Arriva un anno e mezzo più tardi, il 6 febbraio 1954, a Milano. Duilio vince. Mentre guarda la cintura di campione europeo assapora il gusto della vendetta.
E Trieste? Non è dimenticata. Anche se il mondo della boxe gravita attorno a Milano, Loi a Trieste ci torna. Nella palestra dell’Accademia pugilistica triestina gli presentano un ragazzino di 15 anni. Gli fanno scambiare qualche colpo. «Ero già bravo e ci davo dentro per farmi notare - avrebbe ricordato anni dopo quel ragazzo - Ma ben presto mi resi conto che contro uno così bisognava stare attenti. Con due colpetti messi bene mi fece capire che non era il caso di esagerare e quanto avessi ancora da imparare». Il ragazzetto si chiama Nino Benvenuti. Non dimenticherà mai quella lezione. Nella International Boxing Hall of Fame, il Gotha della storia del pugilato, ci sono entrambi. Eccellenze. Loi e Trieste. «Nel 1952 ho voluto far nascere a Trieste il mio primo figlio perchè fosse di buon auspicio per il ritorno della città all’Italia», racconta rievocando le pagine più significative della sua vita, in un’intervista concessa vecchio e gravemente minato dall’Alzheimer. Loi non è buon profeta. Il figlio Vittorio fa parlare le cronache ma non per imprese sul ring: militante neofascista, viene riconosciuto colpevole per la morte dell’agente di polizia Antonio Marino nell’aprile del 1973, ucciso da una bomba a mano lanciata durante una manifestazione dell’estrema destra a Milano.
Dopo la conquista del titolo europeo, Loi lo difende rinsaldando la sua fama. La notorietà chiama borse importanti e tournee. Viaggia, Loi. L’America lo tenta ma non per combattere ad armi pari: la malavita controlla arene e scommesse. Ma il pugile triestino non è tipo da compromessi. Il mondo è pieno di ring, il sogno americano può aspettare. La nuova sfida è passare a un’altra categoria, dai leggeri ai welter. Rinuncia alla cintura europea detenuta finora ma si consola in fretta conquistando quella del nuovo peso. Carriera fantastica, quella di Loi, ma con un rimpianto. La chamce per un Mondiale. Arriva il 15 giugno 1960, in California, per i welter junior. Il portoricano Carlos Ortiz lo batte. Il primo settembre, davanti a 80mila spettatori in delirio a San Siro, si vendica. Campione del mondo. Non è più un ragazzo. Gli anni iniziano a pesare. Lo statunitense Perkins lo batte, Loi per la terza volta in carriera risorge e si vendica vincendo. Ma ormai la carriera è ai titoli di coda.
Il nome rimane popolare, poi con gli anni il ricordo si affievolisce. Cerca di costruirsi una vita lontano dal ring. Apre un ristorante, in via San Vittore a Milano. “Antica trattoria triestina”. Rieccola, Trieste. L’ultimo ricordo. Loi deve confrontarsi con il nemico più difficile della sua vita. L’Alzheimer. Il mondo della boxe si unirà attorno al vecchio campione per chiedere il riconoscimento dei benefici della legge Bacchelli. Duilio Loi muore il 20 gennaio 2008 a Tarzo, in Veneto, ospite da qualche tempo in una casa di riposo. —
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