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Addio a Mazzinghi, il Ciclone del pugilato anni ’60

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Una vita di pugni, presi e dati. Con coraggio, senza mai risparmiarsi, scattando al «gong» contro l’avversario di turno, interpretando ogni incontro con lo spirito del combattente generoso. Una vita sul ring, a respingere i colpi degli avversari e di un destino non sempre amico. E’ morto Sandro Mazzinghi, aveva 81 anni, è stato uno dei più grandi pugili italiani in tempi in cui – gli anni ’60 – il pugilato era davvero la nobile arte.

Mazzinghi nella storia della boxe ha un posto di tutto rispetto. E’ stato campione del mondo dei Superwelter a soli 25 anni nel 1963 – contro Dupas, nella celebre notte del Vigorelli di Milano – e poi di nuovo nel 1968, ancora a Milano, contro il campione coreano Ki Soo Kim. Fu uno dei match più cruenti della storia della boxe. Quindici riprese, botte da orbi, sangue sul ring e alla fine Mazzinghi portato in trionfo per quella che rimane la vittoria più bella della sua carriera.

Nato a Pontedera, fratello più piccolo di un pugile (Guido) bronzo alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952, soprannominato «Ciclone», professionista fin da subito, accompagnato a lungo da Giovanni Borghi – padrone della Ignis – la vita di Mazzinghi è stata segnata dal dolore. Nel 1965 rimane coinvolto in un tragico incidente in auto dove perde la vita la giovane moglie, Vera Maffei. Avevano appena partecipato ad un gala a Montecatini, pioveva a dirotto, la strada era scivolosa, Mazzinghi aveva perso il controllo dell’auto che era finita contro un albero.

Sembra la fine della carriera, ma Mazzinghi si riprende, la tempra del combattente non lo tradisce e nel giugno 1966 conquista il titolo per la Corona Europea dei Superwelter a Roma, mettendo KO alla dodicesima ripresa Yoland Leveque, titolo che difenderà poi per quattro volte in incontri con pugili di altissimo livello. Sono i suoi anni migliori, quelli in cui guadagna eterna popolarità non solo tra gli appassionati della boxe. Sono gli anni della sua rivalità con Nino Benvenuti: si guardano a distanza, si sfidano, non si piacciono, ma alla fine – placati gli ardori – troveranno un terreno comune su cui confrontarsi.

Si ritira nel 1968, a trent’anni. E’ stanco, sfiduciato, deluso dal comportamento della Federazione. I numeri raccontano di un campione che ha segnato un’epoca: 64 match vinti di cui ben 43 per ko, e soltanto 3 persi. Ha scritto nella sua autobiografia: «Mi hanno chiamato gladiatore, guerriero, leone, mi hanno coperto di aggettivi esaltanti, premiando la mia lealtà sportiva, il mio coraggio, la mia generosità e la mia forza. Tuttavia solo io ho conosciuto il vero Sandro Mazzinghi, il pugile e l’uomo».

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