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Libera impresa e concorrenza, governi e superleghe

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Con questo laconico comunicato, il governo italiano ha reso noto ieri un intervento a sostegno della UEFA nel procedimento C-333/21, pendente presso la Corte Europea di Giustizia. A mio avviso, sono almeno due i profili di interesse. Il primo è che una posizione del genere meriterebbe di essere illustrata e motivata pubblicamente con una certa dovizia di particolari, onde poterla valutare appieno. Per darvi un’idea, gli stessi media tradizionali sono confusi rispetto alla sua natura giuridica. Se infatti per Repubblica…

 

 

 

 

 

 

 

 

… non c’è costituzione nel procedimento, ADN Kronos (ripresa da molti, tra cui Gazzetta dello Sport) sostiene il contrario, forte di una nota di Palazzo Chigi. Detto che la differenza non è di poco conto, quel che qui preme conoscere, da cittadini, è il senso della predetta iniziativa. Il tema della concentrazione e degli abusi di posizione dominante, di cui tratta in sostanza il procedimento presso la Corte Europea di Giustizia, è tanto complesso quanto cruciale. Sempre su Repubblica, proprio oggi si dà conto del dibattito tra la Commissaria europea per la concorrenza Vestager e il ministro Colao. Semplificando malamente il tema, l’equilibrio che si cerca è tra due posizioni: lasciare a ogni soggetto la libertà di impresa affermata dal Trattato Costitutivo dell’UE (e dalle Costituzioni locali) e ri-equilibrare un campo (il c.d. level playing field) in cui soggetti sempre più grandi per dimensioni e sinergie sono sempre più in grado di far valere le proprie condizioni, fino a schiacciare i concorrenti e determinare un effetto distorsivo sui mercati stessi. Sul tema, che investe con forza anche la delicata questione dei vaccini, è una pessima idea pensare che basti prendere posizione per una delle due parti, cioè le grandi concentrazioni o gli Stati. Perchè non esistono affatto due parti, ma un ginepraio di interdipendenze e connessioni tra soggetti e situazioni che rende la materia un autentico ginepraio.

Tornando alla questione della Superlega, o al momento presunta tale, si potrebbe sostenere con identica efficacia a) che la nuova competizione sarebbe un segnale di apertura dei mercati e, in quanto tale, foriera di benefico sviluppo e b) che la forza dei soggetti costituenti la nuova entità rischierebbe al contrario di creare una contrazione di quei mercati, comportando l’uscita forzata di molti concorrenti. Proprio per la formidabile attualità delle questioni sul liberismo, più o meno turbo, difficilmente al governo, e al suo presidente, potrà mai sfuggire la centralità del reperimento di questo difficile equilibrio. Per questo mi piacerebbe capire al più presto la ratio dell’iniziativa, onde poter valutare a quali principii si appelli.

Se invece, e il sospetto viene ma senza spiegazioni rimane solo tale, la presa di posizione del governo fosse motivata da ragionamenti che esulano dal campo socio-economico per sfociare nella solita vecchia “funzione sociale dello sport, che non è e non deve essere impresa perchè è passione popolare”, dico già con gentile nettezza che non condividerei, per nulla. Una questione di impresa è tale che si parli di latte o pomodori, di cinema o di calcio. E come tale va affrontata, tenendo presente che contemperare interessi particolari nel nome del bene comune è proprio il lavoro di un governo. Perciò, ad esempio, se la concentrazione di potere è un pericolo (e lo è), non ci importa che risieda nelle mani di un ente chiamato UEFA o in quelle di un’Araba Fenice a nome ESL, bensì che non si verifichi. E da questo punto di vista, a dettare la linea è proprio la Vestager, che commentando una questione relativa ad alcuni pattinatori olandesi ebbe a dire anni fa che:

Per molti lo sport è una passione – ma può anche essere un business. L’UE
riconosce e rispetta il ruolo delle Federazioni sportive internazionali in qualità di
regolatori dell’attività e responsabili di fornire a quella disciplina la corretta
governance, soprattutto in termini di salute e sicurezza per gli atleti e di integrità delle
competizioni. Tuttavia, nel caso della International Skating Union investigheremo se
tali regole sono state abusate per imporre un monopolio rispetto all’organizzazione di
eventi o per restringere altrimenti la libera concorrenza. Gli atleti possono competere
al massimo livello per un numero limitato di anni, per cui devono esserci buone
ragioni per impedire loro di partecipare a un evento.

Perchè una cosa è relativamente certa: se (ed è un “se” a tutti gli effetti) il soggetto dominante (se non addirittura monopolistico) è anche regolatore, voglio credere che nessuno di noi, men che mai le istituzioni, sia passivo o connivente rispetto a una situazione così retrograda e nemica della crescita. Insomma, una trasparenza vera sul tema sarebbe dovuta, e invece dubito che avremo presto chiara la motivazione di questo atto governativo. L’ultima postilla: discutere della faccenda in pubblico è praticamente impossibile, perchè nell’immaginario collettivo si parla solo di un derby Draghi-Juve, con contorno di tifosi per una o l’altra parte, sfottò, insulti e tesi precostituite. Se penso alle grandi questioni (informazione, vaccini, etc.) dico solo SMH.

La seconda questione rilevante è che tutti i resoconti di stampa, stavolta senza discrepanze, annettono un ruolo decisivo nella vicenda a pressioni interne legate a pressioni esterne, legate alla candidatura italiana agli Europei del 2028. A titolo indicativo e per nulla esaustivo di come la decisione venga spiegata pacificamente, senza alcun accenno critico, con un classico “do ut des”:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ben capisco che si tratta di notizie giornalistiche, e non di atti ufficiali. Trovo però abbastanza sconvolgente che si trovi “normale” che una circostanza del genere possa verificarsi. Fare di tutto per raggiungere un traguardo, in questo caso l’organizzazione degli Europei con tutto quel che di buono si porta dietro, è un’espressione che agli sportivi dovrebbe essere familiare e cara. Essa però significa in realtà “fare di tutto dentro le regole e il loro spirito“. Se, ed è un enorme se al momento, un governo dovesse agire subendo le pressioni (anche eventualmente “a fin di bene”) di regolatori sportivi locali pressati da regolatori sportivi europei che pretendono un quid pro quo di qualsiasi natura, saremmo fuori dalla lettera e dallo spirito di quelle regole, scritte o meno che siano.  Sempre nel predetto caso (al momento del tutto ipotetico), sarebbe dovere di un governo spiegare se così sia o meno. A meno che non siamo arrivati al punto di dire che le pressioni (in quanto tali) rappresentano una normale tecnica negoziale, sdoganata nel nome del risultato a tutti i costi (concetto che fa a pugni con quello di sport).

In fin dei conti, parlando di Costituzione con la maiuscola (e non con la minuscola come in precedenza) la stella polare dell’azione che le istituzioni dello Stato debbono tenere presente è ben visibile in ogni momento. Si può e si deve fare impresa nei limiti dell’articolo 41, ben sapendo che quei limiti oggi sono meno chiari e più sfumati, perchè sono mobili e vengono insidiati da forze potenti e numerose. Seguire quella stella polare, ci eviterebbe discussioni surreali che pretendono di stabilire a priori se è più buona UEFA o ESL, sulla base di pregiudizi e tifo. Perchè alla fine, se è sport c’è sempre un derby con il tifo, anche al di sopra dell’articolo 41 e di altre questioni gigantesche. E questo è sconfortante.

 

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