F1, Australian Gp: piove sempre sul bagnato
Tanto tuonò che piovve.
Dopo una stagione invernale trascorsa fra proclami, nuovi arrivi e lieti annunci, il campionato di F1 è finalmente ricominciato da Melbourne con una scrosciante prima tappa, inteso sia in senso meteorologico che dal punto di vista degli eventi di gara.
Tanto tuonò che piovve e alla fine il verdetto sembra uguale a quello emesso dallo scorso campionato: una McLaren imprendibile e il solito Verstappen.
Del resto, verrebbe da chiedersi: cosa ottieni se mescoli 7 esordienti, una coppia di giovani assatanati a bordo di un missile, i team radio della Ferrari e Verstappen, buttandoli in una pista oldschool con un clima stabile quanto un adolescente in crisi ormonale? Sbam! Botti già dal giro di formazione, lacrime, detriti, ghiaia e foglie impastati insieme nelle curve, rettilinei come piscine, safety car come… se piovesse – scusate, scusate davvero – e gomme intermedie le cui scanalature scendono di livello più velocemente dell’orgoglio dei ferraristi. Menzione d’onore per Alonso che si mimetizza tra i rookie uscendo di scena come la maggior parte di loro: alle volte, vedi che succede a non voler dimostrare l’età…
Sono passati 10 anni da quando scrivo stabilmente su queste pagine virtuali e 10 anni fa scrivevamo articoli dal titolo “McLaren: cosa resta del sogno?” a proposito di una miserrima McLaren, che pascolava in pista con le prestazioni di una caffettiera vincendo la classifica delle penalità per cambio di pezzi e, per distacco, il campionato degli sberleffi. Oggi è con la stessa levità e con rinnovato entusiasmo che scrivo di come un gruppo di tecnici gagliardi e manager smaliziati, lavorando alacremente e prendendo le giuste decisioni, abbiamo ribaltato la situazione in un tempo tutto sommato breve, dimostrando che forse si deve davvero toccare il fondo per darsi una spinta più forte verso l’alto. “Torneremo e domineremo!” aveva proclamato in tono bellicoso Ron Dennis: ne abbiamo ricavato meme per un decennio, allora, e ora possiamo dire che la profezia si è rivelata lenta, ma esatta.
Una profezia di successo che alla lunga si rivela esatta è una cosa che non accade in casa Ferrari ormai da molto più di un decennio; eppure dentro e fuori la Scuderia dovrebbe ormai essere chiaro che basare le proprie aspettative di risultati sportivi sulla base dell’onda emotiva, come quella destata dall’arrivo di Hamilton, equivale a farsi fare i tarocchi con un mazzo di carte napoletane: peschi l’asso di bastoni e confidi che le darai agli avversari, tuttavia potresti anche prenderle, a lungo e dolorosamente. Indovinate cosa succede puntualmente? Che la versione attuale del detto del Vecchio, cioè che la migliore Ferrari mai costruita sarà la prossima, è che vinceremo l’anno prossimo, sempre se l’asso di bastoni la racconta giusta.
Ancora? Beh, il campionato è lungo, le variabili sono tante, abbattersi dopo la prima difficoltà è sbagliato quanto esaltarsi per una premessa incoraggiante, o per una sensazione. Intanto a bordo di una freccia d’argento c‘è un piccolo italiano che ha una testa già da grande e quel giusto mix di killer instinct e freschezza che contribuirà a rendere i nostri fine settimana più interessanti. Ad maiora a Kimi Antonelli, se ti serve una zia a bordo pista fammi un fischio!
Quando comincia un campionato, si spera sempre di avere qualcosa di davvero esaltante da raccontare, qualcosa che ti fa rimanere attaccato al televisore nonostante i toni fuori contesto del commento televisivo. Quest’anno gli elementi sembrano esserci tutti: a fine stagione, mi piacerebbe aver ragione!
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