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Vanessa Ferrari e il trionfo mondiale, 13 anni dall’apoteosi di Aarhus: il giorno che ha stravolto la ginnastica in Italia

Il 19 ottobre 2006 ha segnato in maniera indelebile la ginnastica artistica in Italia, quella data è una pietra miliare nella storia della Polvere di Magnesio nel nostro Paese, da quel momento è davvero cambiato tutto e c’è stata una vera e propria rivoluzione che ha stravolto il modo di vedere questo sport al femminile entro i nostri confini. Vanessa Ferrari si laureò Campionessa del Mondo nel concorso generale, per la prima volta nella storia una ragazza venuta dall’Europa Centrale si prendeva gioco del sistema ex-sovietico, dei robot asiatici e delle fuoriclasse d’oltreoceano riuscendo a imporsi nel giro completo, la gara che premia la ginnasta più completa sui quattro attrezzi.

L’all-around di Aarhus ha segnato un’epoca e ha dato la scossa a un intero sistema che, eccezion fatta per l’apoteosi continentale di pochi mesi prima con la squadra a Volos, aveva sempre gioito per i risultati degli uomini. Vanessa Ferrari è stata una pioniera, una guerriera coraggiosa che ad appena 15 anni scalava le gerarchie internazionali e saliva sul gradino più alto del podio in maniera quasi incredula: uno scricciolo di 143 cm per 36 kg e con una graziosa frangetta che si allenava in una palestra ricavata da una ex piscina, in condizioni tutt’altro che ottimali e ben lontane da quelle delle corazzate, semplicementee un talento fuori dal comune che si è sublimato in quella serata indimenticabile.

In Danimarca è nata una nuova Italia e non è poi tanto sbagliato dire che quanto successo quel giorno ha poi portato ai risultati di oggi, alla magia delle Fate che settimana scorsa hanno conquistato il bronzo a squadre ai Mondiali regalando una delle imprese più belle della nostra storia. La Farfalla di Orzinuovi ha semplicemente aperto una strada con uno show indelebile e che ancora oggi, a 13 anni esatti di distanza, fa sempre venire la pelle d’oca e fa capire ancora una volta che con tanta caparbietà, con testardaggine, con carisma e con il duro lavoro si può davvero rendere possibile l’impossibile.

Vanessa Ferrari è ancora in gioco, a quasi 29 anni ha ancora un’amore sfrenato per la ginnastica artistica e sta inseguendo la qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo 2020. La bresciana si è sottoposta a un intervento in primavera, sta recuperando e la rivedremo in gara tra un mese a Cottbus per una tappa di Coppa del Mondo dove andrà a caccia di punti importanti per il pass a cinque cerchi: la magia della Cannibale ha ancora un capitolo da scrivere, la medaglia a cinque cerchi è un sogno molto vivo. Vi lasciamo con un ricordo di quell’indimenticabile serata di Aarhus.

 

VANESSA FERRARI CAMPIONESSA DEL MONDO:

Giovedì 19 ottobre 2006. Aarhus, Danimarca. XXXIX edizione dei Campionati del Mondo. Finale del concorso generale individuale femminile.

La ginnastica artistica, nella notte più importante dell’anno, sta cercando la propria Reginetta, colei che reggerà lo scettro della disciplina per i prossimi dodici mesi. Per la prima volta nella sua centenaria storia, l’Italia ha tra le mani la reale e concreta possibilità di realizzare un sogno: vincere quell’iride che, al femminile, non ha mai varcato i nostri confini.

A difendere i nostri colori c’è una ragazzina che deve ancora spegnere le sue prime sedici candeline. Di cognome fa Ferrari. Non è una Rossa che sfreccia in pista, ma è un angelo che vola in un’Arena senza avere le ali. Uno scricciolo di 143cm per 36 kg che cerca l’apice di una carriera appena sbocciata.

Avvolta nel suo body tempestato di diamanti, Vanessa sente l’importanza del momento sulle sue piccole e forti spalle. Tesa come le corde di un violino, sa che su di lei gravano l’attesa e le aspettative di un Paese che l’artistica la mastica poco o nulla. L’hanno relegata sul canale satellitare della Rai quando il digitale terrestre era ancora un mezzo semi-fantascientifico.

A cercare l’impresa tra l’elitè del Pianeta, tra le maestre rumene, tra l’Armata russa, tra le estrose statunitensi private di Chellsie Memmel (campionessa uscente, prima in qualifica ma infortunatasi alla spalla durante la finale a squadre), tra gli attacchi provenienti dalla Cina diventata protagonista della rassegna, si è infilata un’azzurra dal cuore grande così. Semplicemente Vanessa Ferrari. Da Brescia. Con una determinazione spaziale e fuori dal comune: grintosa. Pronta a tutto: cattiva. Sicura di quanto vale. Certa di poter osare.

Il treno diretto per la gloria parte all’ora di cena. L’antipasto è al volteggio, certamente non il suo punto di forza. Arriverà il suo doppio avvitamento. Lo schermo brilla con cinque cifre importanti: 14.800. Il primo mattoncino è messo. Per il momento è davanti a Jana Bieger, chiamata a difendere l’onore a stelle strisce (14.725). La prima rotazione si conclude con un settimo posto parziale. Un occhio va alla trave dell’australiana Dykes, al comando con 15.625, e soprattutto alle asimmetriche del duo asiatico composto da Pang (15.425) e Zhou (15.150).

Seconda rotazione. SuperVany ha apparecchiato la tavola ed è pronta per mangiarsi le commensali. Ci sono le parallele asimmetriche ad aspettarla. Forte come un leone, agile come un gatto. Qui non esistono coperte di Linus, qui non ci sono paure, qui le mani non tremano. È uno dei punti di forza del fenomeno. Parte decisa. Saranno quaranta secondi da antologia. Un esercizio da favola, capace di tenere tutti col fiato sospeso. Un’esibizione da fregarsi le mani. Perfetta. Pulita. Precisa. Un cioccolatino da scartare e gustare piano piano. Dolce dolce come il punteggio che i giudici le regalano: un pazzesco 15.825. Sono le altre a dover inseguire. Lo fanno. Male. L’attrezzo sembra diventato di burro: la reginetta della specialità Beth Tweddle cade inaspettatamente, imitata poi dalla canadese Hopfer. Solo la Bieger non crolla e prova a rimanere incollata al peperino in fuga.

La Ferrari è in testa a metà gara. Il suo complessivo 30.625 è una sicurezza, davanti al 30.225 della Pang, superiore al 30.175 della Dykes, con un bel margine di vantaggio sulla Bieger ferma a 30.075.

 

 

Trave. L’attrezzo femminile per eccellenza. I 10cm di legno che incutono timore a molte, che sfiancano l’equilibrio, sfuggevoli sotto quei piccoli piedini capaci di destreggiarsi in incredibili evoluzioni.

Arrivo dal salto giro avvitato: cerca di restare su, barcolla, ma non riesce nel miracolo. Cade. Tum. Un boato frange sulle pareti dell’Nrgi Arena. I sogni di un’adolescente sembrano spegnersi definitivamente lì. Si stanno sciogliendo come neve al sole in un’uggiosa serata di autunno.

Ma la sorte e gli almanacchi non hanno fatto i conti con gli occhi della tigre della Cannibale di Orzinuovi. Le sue pupille brillano di cattiveria. Rialza la testa. Su una gamba, poi l’altra e via a riassaporare il legno. È una parte finale di esercizio da applausi, terminata senza sbavature, con un’uscita perfetta. Ma si sa la giuria può essere inclemente e potrebbe spedirla giù negli abissi. No, sarebbe un’ingiustizia e arriva un buon 14.900. La statunitense le recupera quattro decimi tondi tondi, la Pang la scalza dalla vetta e l’azzurra scivola in seconda posizione. Serve il miracolo.

Terminato l’esercizio è visibilmente scossa, delusa e spaventata. Ma tra lei e la gloria c’è solo il corpo libero. Il suo amato corpo libero. Le basta farlo al suo livello per salire sul gradino più alto del podio.

Sì, la cinesina di fronte all’ostacolo insormontabile del volteggio è goffamente caduta addirittura fuori dal podio-gara. La Bieger si è esibita sul quadrato: è pulita, ma è senz’anima.

Vanessa alza le braccia, saluta la giuria e sorride. Dietro quei trentadue denti ci stanno anni di sacrifici messi in gioco in un minuto e mezzo. E prima di partire le passano davanti i flash dei pomeriggi in palestra. Delle fatiche di calpestare una pedana 10×10 quando quella regolamentare è di 12×12. Delle botte prese andando a sbattere contro il muro, visto che nella sua palestra non esiste la striscia con i due metri di fuga. Del soffitto troppo basso. Del tappetino di 17 metri per simulare la diagonale. Fantasie e situazioni al limite dell’umano. Il giusto premio che chiederà al termine della gara sarà una palestra nuova e più adatta al suo livello.

Ma ora sgombera la mente. Via. Il proverbio latino diceva “in nomen omen”. Il destino della Ferrari è segnato quando inizia a volare sulle note del Nessun dorma, la celebre aria tratta dalla Turandot di Puccini. L’adrenalina tiene svegli tutti. Se poi fai uno Tsukahara avvitato perfetto proprio mentre risuona il celeberrimo acuto Vinceeeeerò allora non c’è più niente da fare. Non la ferma più nessuno. Saranno quattro diagonali da manuale, una più bella dell’altra, convinta e condotte con grinta, elegante e potenza. Un mix infallibile che la porta a concludere col cuore che pulsa a mille. Di gioia, di felicità. Dentro di sé sa di essersi messa al collo l’alloro più prestigioso. Il punteggio tarda ad arrivare. Ma è solo la suspense del grande evento.

È il profumo che si respira quando si capisce che è appena Nata una Stella. È 15.500. È un atterraggio morbidissimo a 61.025. È magicamente ORO! È semplicemente CAMPIONESSA DEL MONDO! Le lacrime oggi sono per la Bieger (seconda, 60.750 ) e la rumena Sandra Izbasa (terza, 60.250). Per loro non c’è niente da fare. Questa sera, quella sera, LA sera c’è l’Inno di Mameli a risuonare in terra danese.

È l’apoteosi. Solo l’Italia ha una Ferrari tutta d’oro. Che fa emozionare e battere i cuori. È il mito di chi è invisibile ma sa stupire. È il talento che sprizza da tutti i pori. È l’esempio di chi ha coraggio e di chi vuole arrivare. È la dimostrazione che la Mission Impossible si può realizzare. È la riprova che i sogni non vanno lasciati chiusi in un cassetto, ma vanno lasciati evaporare, vanno coltivati, con sudore, con sofferenza, con amore. È la ginnastica artistica. È la vita, signori.

 

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Foto: Federginnastica

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